lunedì 5 gennaio 2009

sighit Ebrei coraggiosi III

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«Al contrario di Israele dove vige la libertà di parola e il dibattito pubblico, una quantità di cosiddette 'importanti' organizzazioni ebraico-americane chiudono la bocca ai critici con l'intimidazione. La pubblicazione di John Mearsheimer e Stephen Walt, 'The Israeli Lobby and US foreign Policy', è stata trattata come se i due fossero dei cosacchi dediti al pogrom. A Tony Judt, il celebre storico e critico letterario, è stato impedito di parlare presso il consolato polacco di New York dalle pressioni dell'ADL (anti-Defamation League). Judt è ebreo… a suo favore sono state raccolte oltre cento firme, ebraiche, sotto una protesta che ha denunciato 'il clima di intimidazione'».

Questa soppressione di ogni opinione diversa, questa museruola al dibattito, questa riduzione al silenzio di ogni posizione differente è un segno di paura.

«Jimmy Carter, che per la pace in Medio Oriente ha fatto più che ogni altro presidente, è stato ferocemente aggredito per aver osato usare la parola 'apartheid' per descrivere l'oppressione di Israele sui palestinesi: parola che spesso si legge nei giornali israeliani. […] Danny Rubinstein, sperimentato giornalista del quotidiano Haaretz, è stato invitato dalla British Zionist Federation e poi l'invito è stato ritirato, perché aveva usato la stessa parola proibita. Anche due istituzioni educative cattoliche si sono piegate: il St. Thomas College di Minneapolis che aveva cancellato la conferenza del vescovo Desmond Tutu e poi ha dovuto tornare sui suoi passi a causa delle proteste, e la De Paul University di Chicago che ha rifiutato la cattedra a Norman Finkelstein, benchè il consiglio di facoltà avesse votato a schiacciante maggioranza a suo favore».

«Per contro, i neocon ebrei (ce ne sono anche di non-ebrei) possono parlare dovunque vogliono. Ma non parlano in quanto ebrei e non rappresentano certamente noi tutti. E però, in quanto tanti di loro sono ebrei, tutti noi siamo ritenuti corresponsabili dei loro epici disastri».

«In realtà, i neocon sono combattenti molto ben pagati sul fronte interno edivulgatori del Nuovo Impero Americano. Ideologi senza scrupoli, hanno avuto una parte centrale nel trascinare gli USA in Iraq ed ora sono ansiosissimi di attaccare l'Iran - da lontano, perché non si conti di vedere, loro o i loro figli, arruolarsi nelle unità combattenti in Iran. Alcuni di loro sono spinti da simpatie per l'estrema destra israeliana; i più tuttavia da una dottrina geopolitica manichea rigida della guerra preventiva. Adesso si aggrappano come 'consiglieri di sicurezza nazionale' attorno al bellicoso Rudolph Giuliani, nella speranza di un'altra 'passeggiata' in Iran».

«La verità è che la prima responsabilità cade sul presidente, sul vicepresidente, su Rumsfeld, sui loro sicofanti al Congresso, sui mass media ben lieti di servire da cinghia di trasmissione, e sì, la lobby israeliana, che comprende anche i fondamentalisti cristiani e i cristiani-sionisti, ansiosi di accelerare l'Armageddon […]».

Ebrei che alzano la loro voce contro le atrocità in corso.
Ebrei che accettano di guardare e di sapere.

«Aumentano di giorno in giorno», conclude Polner.
E' una speranza.

Maurizio Blondet

(articolo pubblicato il 13 novembre 2007)


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1) Benjamin Barthe, «Gaza, terre fantome des Mèdias israéliens», Le Monde, 9 novembre 2007.
2) Dalia Karpel, «My God, what did we do?», Haaretz, 9 novembre 2007.
3) Murray Polner, «We aren't one: American Jewish Voices for peace», LewRockwell, 1 novembre 2007.

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