lunedì 5 gennaio 2009

sighit Ebrei coraggiosi II

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«Non c'è un soldato di tsahal che non abbia un ricordino preso da una casa palestinese». Dana ricorda soldati che tornavano dalle operazioni con le foto dei palestinesi che avevano ammazzato.
«Allora non mi pareva strano. Uccidere un terrorista importante è un lustro di servizio per i soldati. Solo ora capisco che quelle erano le foto più spaventose che ho visto in vita mia». Un'altra, Tal Ben-Sira Morag, racconta di donne bastonate finchè i bastoni si rompevano.

Un'altra, Illan Michelzon, racconta il suo lavoro al chek-point di Eretz: «Era come una gabbia di topi. Non avevo mai visto i palestinesi di Gaza, coi sacchi sulla testa, vestiti di stracci. La loro povertà. Lì non parlavamo, urlavamo ordini. Ho dovuto cambiare pelle per adattarmi». Una volta, «un palestinese presenta il lasciapassare, un permesso che per ottenerlo ci vogliono due mesi. E i soldati glielo sostituiscono con un altro, e glielo strappano davanti alla faccia, per vedere la sua reazione; poi, ridendo, gli restituiscono il documento originale». Tutte queste soldatesse non hanno mai parlato prima delle loro esperienze operative.

Ben Sira-Morag ricorda di aver detto a sua madre: «E' meglio che tu non sappia». Quando Canale 1 trasmise un reportage sulla sua unità, «i miei genitori non vollero guardare». Molte hanno ferite psichiche permanenti. Una di loro, in vacanza in Vietnam, a Saigon - affollata, la gente che scende dagli autobus, e corre qua e là, i segni dei proiettili ancora sui muri - ha un attacco di panico: «Sono disarmata, non ho un'arma, pensavo, e non riuscivo a calmarmi». Tutte ora aderiscono al movimento «Rompere il silenzio».

Anche Murray Polner, scrittore ebreo americano, ha deciso di rompere il silenzio. Contro il potere della lobby che pretende di parlare per ogni ebreo (3): «E' dagli anni '80», ha scritto, «che le grosse organizzazioni ebraiche raccolgono fondi con lo slogan 'We are one' ('Siamo una cosa sola'). E' sottinteso che gli ebrei americani sono un blocco unico. Ma non siamo 'una cosa sola'. Noam Chomsky è ebreo come Iring Kristol (neocon), e Norman Finkelstein come Alan Dershowitz (che ha fatto cacciare Finkelstein dall'università). Non siamo angeli né santi. E certo non siamo monolitici, nonostante il tentativo continuo di presentare chi di noi critica qualche aspetto della politica israeliana come 'ebrei che odiano se stessi'».

«La verità è che la schiacciante maggioranza dei sei milioni di ebrei americani è contraria al regime neocon Bush-cheney, come dimostra il loro voto. Nel 2000 e nel 2004 la maggioranza assoluta ha votato Al Gore e Kerry. Nelle elezioni del 2006 l'80% dei voti ebraici è andato ai democratici. [….]»

Continua: «Noi non siamo d'accordo con quegli ebrei che tacciono - su Israele e i palestinesi, sull'Iraq, sull'Iran. […] Le voci di pace ebraico-americane non si genuflettono alla Israeli Lobby. Non, la Brit Tzedek v'Shalom - the Jewish Peace Alliance for Justice and Peace - che ha più di 15 mila membri, non la Jewish Voice for Peace, e Meretz USA non la Americans for Peace Now, che ha 25 mila membri. Non i Rabbis for Human Rights, la Jewish Peace Fellowship, e the Shalom Center… […] Rabbi Arthur Waskow del Shalom Center, Rabbi Michael Lerner del Tikkun Magazine, Michael Massing della New York Review of Books, Tony Karon, Philip Weiss, Norman Birnbaum, e molti altri non tacciono».

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