lunedì 26 gennaio 2009

sighit Sì, siamo tutti stupratori

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Il crescendo di parole in libertà, balle spaziali, barzellette e battute ai comizi prima su un lager nazista ora sugli stupri, da tre settimane ha come palcoscenico esclusivo la Sardegna, festosamente oggetto di un'invasione che dovrebbe rallegrarla.Eppure 'è chi parla di aggressione inaudita, di assedio offensivo. Purtroppo siamo fra questi ingrati. Siamo stati i primi e i soli a denunciare questo scandalo che vede gli apparati di Stato e di governo, con le tv “pubbliche” (per non parlare degli scandalosi Tg5 e Rete 4 e Italia Uno, più i bollettini televisivi regionali) militarizzati per la campagna elettorale di “Berlusconi presidente”. Non a favore del candidato-fantoccio Cappellacci ma esclusivamente contro Renato Soru. A spese nostre, utilizzando il ruolo e le prerogative della presidenza del Consiglio. Occupando indebitamente a saturazione, a reti e anche testate unificate, tutto lo spazio possibile. Il potere governativo allargato (nella partita sono entrati alcuni vescovi sardi, arruolatisi come mons. Mani fra i cappellani di Forza Italia: il premier invocava missionari e ha trovato prelati) e quello mediatico sono schierati contro un esponente delle istituzioni: qual è il presidente uscente della Regione. Al quale nulla è concesso in termini di contraddittorio e di spazio nei tg: dove scorrono solo gli insulti del Cavaliere e a oltranza compare - accanto a Berlusconi - il suo maxi-orsacchiotto Cappellacci, detto “ridere sì, parlare no”, tranne su imbeccata del premier-piazzista. A Soru non resta che querelare Berlusconi per le parole infamanti su 30 milioni andati a Tiscali dall'appalto Saatchi: annullato, come è noto a tutti, senza che un solo euro della dotazione sia uscito dalla casse regionali. Ma che importa? Diffamate, diffamate, qualcosa resterà. In caso di processo, c'è sempre il lodo Alfano, lo scudo spaziale che il ministro-ex segretario personale ha alzato a protezione del suo premier.
Ma intanto, sulla scia del committente e sponsor, il candidato-fantoccio felicissimo della sua patetica visibilità genere Andy Luotto (il finto arabo fisso alle spalle di Renzo Arbore) continua anche lui a dare i numeri. Aveva cominciato alla Fiera, il 10 gennaio: eleggetemi e la Sardegna avrà centomila posti di lavoro in Sardegna (ma 25 mila sarebbero di troppo: sono 75 mila i disoccupati sardi, gli ha ricordato il solito “torvo” Soru). Galvanizzato da padron Silvio (decuplicherà i soldati anti-stupro nelle strade, da tre a trentamila: le mille balle blu si innalzano nel cielo d'Italia), Cappellacci si adegua alla sparate. Bonus di cinquemila euro a ogni disoccupato sardo entro i primi cento giorni se sarà presidente. Centomila posti, cinquemila euro, cento giorni di napoleonica ma infausta memoria: dove arriverà il simpatico maxi-orsacchiotto del Cavaliere? “Sardegna, volta pagina”, grida l'Unione Sarda nelle tre pagine domeinicali per Berlusconi, nelle prime Soru ovviamente non è neanche nominato: basterebbe voltare giornale. Numerì in libertà anche sui sondaggi: venti giorni prima Cappellacci era in crescita, sabato avanti di tre punti, il giorno dopo quattro su Soru. Ancora due settimane e vincerà col 99,9 per cento.
È proibito, illegale milllantare pubblicamente i sondaggi in questo modo, vietatissimo a ridosso delle urne. Ma ogni legge va sottomessa a Berlusconi, lui le può violare tutte e nessuno fiata. Eppure è segno di paura, questo sbandierare vantaggi: inesistenti. Non perché sia Soru a replicare difensivamente d'essere in testa di sei lunghezze. Perché è ben noto e largamente ammesso che Soru sta reggendo benissimo all'assedio berlusconiano. A destra non pochi temono addirittura che l'asfissiante presenza del premier faccia scattare un riflesso patriottico per Soru e penalizzi il rivale sempre più ectoplasmatico. Resta il fatto che Berlusconi, capo del governo, viola le regole che lui dovrebbe per primo far rispettare. Ma soprattutto la decenza istituzionale, la dignità del ruolo gettandola a spese dei contribuenti in una forsennata campagna da agit prop con toni sempre più squallidi. In un momento di inaudita gravità per l'Italia, mostra la statura di statista esibendosi al peggio.

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