lunedì 5 gennaio 2009

sight Ebrei coraggiosi

torra agoa<

Amira Hass, di Haaretz, è stata la sola giornalista israeliana con ufficio stabile a Gaza.
Finchè ha potuto.
Oggi spiega a Le Monde che sono i suoi superiori che dovrebbero chiedere all'ufficio-stampa dell'esercito il permesso perché lei possa passare dal valico di Eretz; ma dal 2000, quando è cominciata la nuova Intifada, direttore e redattori-capo non lo chiedono più.
«Manca la volontà dei media», dice.
«Si comportano come se Gaza non esistesse. Non esiste più dal 2005, dopo il ritiro israeliano, dopo che ci hanno detto che l'occupazione non c'è più».
Non ripetono sempre, anche ambasciatori e governanti, che «non c'è mai stato un popolo palestinese»?

Basta che il mondo non lo veda.
Non veda la fame che sconvolge, dopo quasi un anno di blocco economico totale, non veda la disperazione, non veda i bambini e gli adulti che vengono uccisi a piacere.
E non veda la re-invasione di Gaza, che è in programma ed è stata annunciata dal ministro della Difesa Ehud Barak: la soluzione finale non farà notizia, stavolta.

Cosa poi non si deve vedere e raccontare?
«Una notte, la soldatessa Tamar Yarom fu svegliata da un soldato della sua unità: voleva mostrarle qualcosa nello scantinato della casa abbandonata dove pernottavano. 'Prima di aprire la porta già si sentiva un odore di gasolio e il rumore come di un generatore, ma orrendo', racconta: 'Ho visto un detenuto palestinese di mezza età steso bocconi sul pavimento, gli avevano messo la testa sul generatore, con l'orecchio premuto sul generatore che vibrava. Anche la testa e la faccia di quello vibrava, era tutta deformata. Mi stupii che nonostante tutto il sangue e l'orrore, si poteva ancora vedere una espressione in quella faccia. Questo mi è dentro da allora: lo sguardo di quella faccia».

Oggi la soldatessa Tamar Yarom è regista di cinema.
Il suo ultimo è un documentario, «Li'r'ot im mehayekhet» («Vedere se sorrido»), dove sei soldatesse che hanno prestato servizio nella prima e seconda intifada a Gaza raccontano ciò che non si deve vedere (2).

Una delle sei si chiama Meytal Sandler, è stata infermiera in un reparto operativo a Hebron.
Racconta: «I nostri avevano braccato una cellula (terroristica) e uno dei membri fu ucciso. Ricordo la corsa in ambulanza (con il corpo) insieme a Uriel (un soldato israeliano) che mi guardava e gli veniva da vomitare. Siccome era stato beccato alla testa, non era morto subito, sanguinava e moriva lentamente… perse il controllo dei visceri, succede… Stava lì disteso con gli occhi aperti, e io gli ho chiuso gli occhi perché Uriel mi disse che gli faceva paura. Ci ordinarono di lavarlo prima di restituirlo alla Autorità Palestinese, chè non si vedesse il sangue».

Ricorda di un altro cadavere, che ebbe un'erezione.
«Tutti entrarono a vedere, ridemmo. Io dissi: 'Fatemi una foto', e mi misi in posa accanto al corpo».

Un'altra, Lili Abramov, è stata guardiana ad un posto di blocco.
Ricorda una sua amica e collega che fu ferita alla mascella nell'ottobre 2001 durante un'operazione a Tul Karm.
«Ero così arrabbiata che volli vendicarmi con gli arabi che passavano il chek-point, Durante un turno, ce n'erano 70-80 in attesa. Stavano in fila, io ho deciso di tenerli lì in piedi per tutto il turno, 12-14 ore, sotto il sole. Gli ho ordinato di fare degli esercizi…».

Dana Behar è stata assegnata al 50mo battaglione parà «Nahal», molto reputato, «ragazzi di qualità, kibbutzim, li chiamano Askhenazi gialli perché sono più gentili in confronto ai neri, più violenti, Erano 500 maschi e dieci ragazze».
La prima settimana di servizio, i parà tornano da un'incursione a Qalqilyah, vantandosi con lei, offrendole gli oggetti, fra cui le collane di preghiera e i Corani presi nelle case.
Due giorni dopo, Dana parlò al comandante di battaglione di quei furti.
Quello chiamò in sua presenza il comandante di compagnia, suo superiore diretto, che disse: «Questa è una bugiarda. Non so perché dica questo, forse per darsi importanza».
Da quel momento, i soldati, «quando passavo, sputavano per terra e mi insultavano. Mi isolavano, il che era la cosa più umiliante».
Fu messa a lavare i piatti.

sighit>

Nessun commento: